CHIAMATEMI FRANCESCO – Il Papa della gente e l’Argentina dei desaparecidos

Del film su Papa Francesco ciò che conquista sono gli interpreti, alcune scene struggenti sui desaparecidos, e quei personaggi femminili anticonvenzionali cui Jorge Bergoglio si era legato negli anni e che invece il potere combatteva.

E’ un bel film quello di Daniele Lucchetti che ci fa conoscere un difensore coraggioso dei perseguitati dalla dittatura militare di Videla, umanizzando una figura che già appare profondamente umana, e raccontando, secondo le versioni che ha deciso di ascoltare, come la sua vita si sia intrecciata alle drammatiche vicissitudini del suo paese.

Vestono i panni di Jorge Bergoglio in periodi della sua vita diversi, due attori incredibili, accomunati da un’espressione e un sorriso familiari e accoglienti: Rodrigo de la Serna (dai venticinque ai sessant’anni) e Sergio Hernández poco prima e subito dopo l’elezione a Papa, colorita da quella meravigliosa risata incredula di chi ne ha vissute tante e non si aspettava addirittura questa.

Entrambi somigliano a Bergoglio, ma – liberi dagli strati di trucco che l’invecchiamento e la ricerca di perfezione solitamente richiedono – più che riprodurne movenze, abitudini e atteggiamenti, lo evocano, perdendosi serenamente nel suo sorriso, quel sorriso che più di ogni altra cosa dà speranza alla gente.

L’idea di raccontare Jorge Bergoglio partendo dalla sua preoccupazione e dal suo disorientamento di fronte alle aberrazioni perpetrate ha dato forma e direzione al film: quella di un film a suo modo politico, un film laico, sicuramente, nel senso di non teso all’evangelizzazione. Luchetti, non a caso, non crede, e non ha cominciato a farlo durante o dopo le riprese, ma a folgorarlo sulla via di Buenos Aires è stata piuttosto l’umanità del futuro pontefice, insieme a una chiesa umile fatta di preti di strada e di regole dettate più dalla coscienza che dagli imperativi dei vertici ecclesiastici.

Senza essere un’opera controcorrente, il film sul papa gesuita compie una scelta comunque di rottura, perché ci porta fra le favelas devastate dalla povertà e ci fa salire sugli aerei dai quali i sostenitori del Processo di Riorganizzazione Nazionale gettavano nel vuoto i corpi addormentati dei presunti desaparecidos.
Il regista questi orrori si limita a mostrarli e – invece di spiegarne le recondite motivazioni o di nascondersi dietro l’impersonalità di un banale reportage – gira un film che non è poi così lontano dall’inchiesta, dal giallo storico. Con coraggio, inoltre, tralascia completamente la retorica della “chiamata”, insistendo su una vocazione che si traduce principalmente in azione.
La poesia e la commozione arrivano dopo, nel presente, a compimento di un percorso personale che si conclude con la vittoria non di un singolo, ma di una nazione, e che quindi diventa un momento cinematografico di rara intensità, capace di smuovere perfino quanti non si lasciano ispirare dalla parola di Dio.

Intorno a Jorge ragazzo e uomo si agitano una serie di personaggi perfettamente a fuoco, a cominciare da tre figure femminili forti e combattive: la giudice Alicia Oliveira, la professoressa di chimica Esther Ballestrino e una suora che protegge due sacerdoti perseguitati dal regime. Non ci meraviglia che abbiano il giusto spazio e la stima del protagonista che – lo sappiamo bene - crede nelle donne e sostiene le loro battaglie.

 

Il film biografico sulla vita del Papa argentino non poteva che avere l’accompagnamento di una musica ispirata al tango il cui compositore è il celebre compositore e pianista Arturo Cardelùs.

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